Sul vivere in provincia, il pettegolezzo, la chiusura mentale…

“Tutto questo lo sai e sai dove comincia
La grazia o il tedio a morte del vivere in provincia…”

(“Canzone quasi d’amore” di Francesco Guccini)

Una mia piccola riflessione:

In provincia vige il controllo sociale sulla sessualità,  soprattutto femminile. Non c’è niente da fare. È un dato di fatto assodato. È così.  Allo stesso tempo però gli stessi pettegoli, che talvolta si possono trasformare in diffamatori, sono gentili, premurosi, non risparmiano complimenti e fanno sentire la ragazza o la donna in questione una principessa. Le donne in provincia si percepiscono più belle perché molti, spesso per ingraziarsi i favori, quindi per captatio benevolentiae, dicono loro che sono belle e loro naturalmente ci credono. La provincia alimenta (e non poco) la vanità e il narcisismo femminile. Molto spesso le ragazze e le donne, ingenuamente,  non sanno distinguere un complimento strumentale dalla verità.  Difficilissimo, quasi impossibile,  cambiare la mentalità in provincia, e chi ne paga le conseguenze sono anche gli uomini, che hanno meno occasioni di amare per la suddetta mentalità chiusa e retrograda. In provincia anche le donne più emancipate cercano di tenere nascoste le loro relazioni, ma i loro amanti parlano sempre, si confidano agli amici, che lo vanno a dire ad altri amici. Molto spesso c’è chi si inventa storie dal sapore boccaccesco inesistenti, chi ricama su qualche cosa di vero, come c’è chi altera e mistifica la realtà.  In provincia è difficile distinguere il reale dall’immaginario. In provincia spesso c’è poco da fare, la noia ti assale e allora la gente spettegola. Ci sono in giro tante voci e molto spesso voce di popolo non è voce di Dio. Eppure tutti avrebbero da guadagnarci a spettegolare di meno e ad amare di più, a fare l’amore più spesso. Ma per molti provinciali spubblicare le proprie donne è meglio che farci l’amore e per gli altri è molto importante soddisfare la curiosità morbosa. Di conseguenza la sessualità è qualcosa di nascosto, di sottaciuto come minimo, però comunque tutti o quasi sanno tutto di tutti (basta avere un buon informatore su piazza che il gioco è fatto). In provincia anche le ragazze più emancipate e più coraggiose, quelle più libere, più libertine, più aperte, più sfrontate, una volta che diventano mogli e madri, rinnegano tutto, fanno capire a chiare lettere che i loro sono stati stupidi errori di gioventù. Tutti vogliono il decoro piccolo-borghese, la rispettabilità in provincia. Ma la provincia è anche meno alienante della grande città,  è più accogliente,  più calorosa; c’è meno delinquenza. Le donne in provincia vengono considerate molto più importanti e vengono trattate meglio, anche se sono molto meno libere di fatto. In provincia tutti devono rendere conto a tutti. Tutti cercano di non fare scandalo. Le ninfomani o comunque le orgiastiche che si danno a tutti o quasi nelle metropoli, qui in provincia fanno sempre in modo e maniera di fare le loro storie in gran segreto. Quindi tutti, chi più e chi meno, pagano un bel dazio alla provincia. Ci sono tante vite, come la mia qui, contrassegnate dalla solitudine. La provincia è anche il regno delle beghine, delle tapparelle abbassate, di chi scruta i vicini o le vicine dagli spioncini.  Non è un caso che molte ragazze vadano in luoghi esotici in vacanza per avere nuove avventure, lontane da occhi indiscreti. Non è un caso che molti single solitari vadano da escort o massaggiatrici nelle città più grandi. È vero che i mass media hanno reso la provincia più emancipata di un tempo. È vero che anche qui giungono gli echi e gli influssi della modernità.  Ma la provincia non è poi così diversa, ancora oggi, da quella raccontata da Bassani ne “Gli occhiali d’oro”, da Mastronardi, da Piero Chiara. Forse  la chiusura mentale è un tratto distintivo della provincia, un quid ontologico, a cui nessun abitante può sottrarsi, da cui nessun provinciale può esimersi.